mercoledì 10 maggio 2017

Intervista allo scrittore Marco Gregò: "Scrivo per trovare l'unico coraggio che mi serve" di Candido Marinelli

La prima volta che ho sentito parlare di lui, fu ad una premiazione di un concorso letterario. Vinse con un racconto d’amore cinico, spiazzante, struggente. Non si presentò a ritirare il premio. La prima volta che l’ho visto, fu ad una presentazione di un libro, organizzata dalla libreria che per anni è stata la sua seconda casa. Si nascondeva dietro le pagine del suo libro in lettura.
La prima volta che abbiamo avuto modo di parlarci, mi ha consigliato la lettura di Musica per organi caldi di  Charles Bukowski, ancor prima di chiedersi chi fossi. Non l’ho mai ringraziato e colgo al volo l’occasione. Ho sempre saputo che questo momento sarebbe arrivato, Marco Gregò è uno scrittore da sempre ed ora con la pubblicazione del suo primo romanzo, Nella terra del sole che sboccia” – I Buoni Cugini Editori anche il resto del mondo può averne prova. In bocca al lupo Marco!
Candido Marinelli:-Prima di parlarci un po’ del tuo libro d’esordio, ci piacerebbe conoscere te , Marco Gregò. Raccontaci un po’ la tua storia: chi sei, da dove vieni, che studi hai fatto e perché e cosa volevi fare da grande….
Marco Gregò:-Prima di rispondere a queste affascinanti domande che mi hanno dato molto da riflettere volevo davvero ringraziarti per essere stato il primo ad avermi concesso un piccolo spazio, l’ho apprezzato e te ne sono grato, sperando anch’io di riuscire un giorno a leggere qualcosa di tuo. Comunque, cosa volevo fare da grande? (Ride) Bella domanda, non lo so ancora. Sono sempre stato un tipo molto silenzioso. Ho fatto un semplice istituto tecnico che è di solito la scelta che compi quando non hai abbastanza voglia di studiare, e allo stesso tempo ti manca il coraggio di scegliere ciò che veramente vuoi, o magari non lo sai. Non ho mai concesso grandi libertà ai miei istinti di venir fuori, ho racimolato negli anni una ingombrante sensibilità, che mi ha spesso e volentieri regalato qualità particolari. Ho passato gran parte della mia adolescenza ad ascoltare, ad osservare, e delle volte ad isolarmi. Ho conosciuto la letteratura da molto piccolo, ma l’ho compresa solo molto più tardi, in un periodo buio quando nessuno comprendeva me mentre lei sì, ed è così che ci s’innamora di solito. Ho cominciato a leggere un libro dopo l’altro sviluppando nel tempo un tatto particolare nei confronti degli altri, io infatti tendo a non offendere e non ferire mai nessuno, cercando di non imporre mai il mio pensiero, al massimo di proporlo.Secondo me non c’è nulla di più insignificante di qualcuno che ti ferisce perché ti dice quello che gli passa per la testa senza che però nessuno glielo abbia chiesto, spacciando ciò che pensa per verità.Io mi trovavo circondato da elementi simili, e mi fa veramente strano vedere il modo in cui le persone si identifichino come “vere” perché “dicono sempre quello che pensano”, quando per me una persona vera è una persona che fa quello che dice, non chi nasconde la sua stronzaggine dietro un ipotetico concetto di autenticità. E che non si dica di me, come ho delle volte sentito in giro, che io non sono in grado di dire ciò che penso, direi al massimo che non sono uno che dice le cose nel modo in cui le pensa, ma voglio dire, dovrà pur vedersi da qualche parte e venir fuori quella tanto acclamata differenza che c’è tra un uomo ed un cretino, no?
C.M.:-Come mai hai scelto di fare lo scrittore? C’è un “fuoco sacro” dietro questa scelta? Perché questo e non un altro lavoro?
M.G.:- Penso che il giorno in cui la scrittura sarà da me vissuta come un lavoro, sarà lo stesso giorno in cui la mia scrittura morirà, perderà valore. Scrivere libri è per me come l’amore di una madre, e non s’è mai vista una mamma che vuol essere chiamata lavoratrice per amare i suoi figli.Io sono un fifone, non credere, ed è per questo che scrivo: perché nel farlo trovo l’unico coraggio che possiedo, quello di affrontarmi; e se c’è una cosa di cui mai ho avuto paura, questa è sicuramente l’affrontare me stesso. Uno scrittore vive mille vite differenti, entra ed esce da mille corpi estranei, si corica supino su destini che non gli appartengono per scoprire e capire come si vede il cielo da prospettive che altrimenti non potrebbe permettersi. Il mio “fuoco sacro” non è altro che una passione sfrenata per quei paesaggi splendidi che si trovano dentro ognuno di noi, è lì che mi affaccio per “dipingere”.
C.M.:-Se un giovane volesse intraprendere il tuo stesso percorso di scrittore, cosa gli consiglieresti?
M.G.:- Partendo dal presupposto che non mi sento in grado di dare consigli ad un ragazzo, l’unica cosa che posso fare è dire quello che dico spesso a me: Marco, quando si scrive e si è alle prime armi,l’errore più grande che tu possa fare è quello di voler scrivere qualcosa di “superiore”, che smuova le coscienze, che influenzi le masse, e che ci elevi al di sopra di ogni cosa; la gente non vuole imparare a vivere, vuole solo essere capita e quindi sentirsi meno sola e incompresa.Se un giovane volesse intraprendere il mio stesso percorso gli direi di non smettere mai di avere fiducia nel mondo e nelle persone, che è meglio essere un uomo ingenuo che un pollo presuntuoso e pieno di sé che sentenzia su tutti e su tutto, gli direi di conservare con cura la sua ingenuità, gli direi insomma tutto l’opposto di quello che gli altri mi hanno sempre detto. Lei per me non è affatto un difetto come molti vogliono farci credere. Se proprio dovessi etichettarla direi tutt’al più che è un pregio, poiché l’ingenuità altro non è che una fiducia smisurata nei confronti del mondo. Andrebbe preservata, protetta, salvaguardata, non ci si dovrebbe mai “svegliare” troppo, perché è quando la si perde del tutto che ci trasformiamo, come per incanto, da uomini a polli. Per non perderla bisogna avere il coraggio e la forza di ascoltare.Un ragazzo, dovrebbe affacciarsi in punta di piedi per consolare qualcuno che “dorme” e non per svegliarlo da non si sa che cosa; quando si vuol guarire dalla vita va solo a finire che ci si ammala il doppio, e quindi? A che sarebbe servito allora scrivere?
C.M.:-In attesa che mi arrivi il pacco con il tuo libro,che sai benissimo quanto sia curioso di leggere, ci parleresti di “Nella terra del sole che sboccia”? Che libro è? Che sensazioni ti ha dato scriverlo e quali emozioni speri di suscitare?
M.G.:- C’è una cosa che devo fare prima di parlarti di questo romanzo, ovvero ringraziare due splendide persone: Anna Squatrito e Ivo Tiberio Ginevra. Senza di loro io e te non saremmo qui a parlare di questo oggi, quindi devi concedermi questo spazio, loro hanno permesso tutto ciò ed io non mi stancherò mai di ringraziarli anche in futuro, poiché un buon libro – anche se strano – può essere apprezzato da chiunque, ma solo un grande editore (in questo caso due) può trovare il coraggio di pubblicarlo. Questo è un libro che può essere letto da chiunque, ma che può essere apprezzato solo da chi non è cresciuto troppo. Le persone che dentro di sé hanno dei rimasugli di fanciullezza, potranno essere più propense ad apprezzarlo; questa non è una legge né una certezza, solo una sensazione. Leggendo il libro noterai come la scrittura scivola e si ingarbuglia in tanti stili differenti e muta di volta in volta. Diventa cupa, poi allegra, poi romantica, a tratti demenziale, delle volte riflessiva, e così via, perché ho cercato di fare in modo che fosse il più vicino possibile alla realtà. Noi siamo“succubi” di un’infinità di emozioni differenti durante anche una singola giornata, che condizionano ed alternano il nostro stato d’animo, a volte da un momento all’altro, influenzando anche il nostro modo di reagire ad esse, ma molto spesso senza neanche rendercene conto. Se io provassi a descrivere la mia giornata di ieri, ad esempio, sarei probabilmente piatto nella descrizione, perché non mi sono soffermato con attenzione a tutto quello che mi è capitato laddove gli occhi non arrivano a guardare. Il libro è attento e vigile a queste sfumature, alcuni lo potranno adorare, altri no, ma è questo l’aspetto più divertente. Quando l’ho scritto per la prima volta, avevo poco più di vent’anni e non avevo assolutamente la maturità letteraria idonea a scrivere un romanzo, e quando parlo di maturità letteraria intendo che la mia penna non era abbastanza ferma. In quattro\cinque anni il mio lavoro si è incentrato su questo. La storia non si è mossa, perché era già ben salda, ma la mia penna – per usare un termine poetico – non si era ancora “addomesticata”. E solo una volta conclusi questi quattro anni, ho imparato ad addomesticarla, e mi sono da subito reso conto che se lo avessi ricominciato da capo sarebbe potuto diventare ancora migliore, ma mi sono conservato per un prossimo. Il protagonista stesso, in origine era sbagliato, era sbagliato perché non commetteva errori, non si contraddiceva, era tutto troppo troppo “romanzato”, cosa che per me, quando si tratta di personaggi, è un brutto difetto. Perciò ho voluto farlo un po’ più incoerente come tutti, perché è una persona reale e deve agire nella realtà. Se ci pensi ci sentiamo tutti perfetti, ma se ci vediamo da fuori non lo siamo affatto, ed è esattamente questo che volevo, che i lettori lo notassero e apprezzassero i loro difetti. Il sole che sboccia è una metafora per dire che anche quando ci sentiamo derubati di tutto siamo in grado di ricominciare a vivere.
C.M.:-Ci puoi dire qualcosa della tua scrittura? Che cosa dobbiamo aspettarci in futuro?
M.G.:- Io credo che per provare a fare della buona letteratura, bisogna avere il coraggio di andarle anche un po’ contro. La mia scrittura si impegna in questo senso, cerca di avere un’identità sua e distante dalle norme comuni, ed è anche un rischio poiché può incappare in delle incomprensioni. È a volte frammentata, ma mantiene sempre un filone di “semplicità e purezza” per così dire, non è condita da chissà quali paroloni o sillogismi, la mia scrittura è una finestra che mostra le cose in maniera differente e stop.Una volta chiesi a Tim Willocks di rispondere ad un dubbio che mi assillava pesantemente, ovvero come si fa a non sprecare il tempo del lettore e quindi a scrivere qualcosa di valido, lui mi rispose che “nessun libro valido è mai stato scritto per un pubblico” ed aveva ragione. Mi aveva disarmato di qualsiasi insicurezza in questo senso, ed ho continuato per la mia strada, se possa essere definita valida o meno non lo so, ma fatto sta che non ho più paura di percorrerla. In futuro? Quando mi chiedono “tu sei cambiato?” di solito rispondo “io non cambio mai, al massimo miglioro, o per lo meno ci provo” ed in futuro la mia scrittura sarà vittima della stessa sorte, cercherò di migliorarla sempre più senza cambiarla, senza adattarla, è il mio modo segreto che uso per abbracciare gli altri, e più la mia scrittura cresce, più le mie braccia si fanno lunghe e più persone sarò in grado di abbracciare. Sto scrivendo un nuovo romanzo, potrei dirti tutto, ma non ti dirò nulla, io sono fatto così, parlo solo alla fine.
C.M.:- Ti ringrazio per la chiacchierata, sicuro che avrò ancora l’onore di ospitarti su queste pagine. Concludiamo come al solito, dimmi un libro, un film, una canzone che hanno un ruolo importante nella tua formazione.
M.G.:- Grazie a te, Candido, è stato un vero piacere parlare con te e rispondere alle tue domande, spero di ritornare a farti visita un giorno, e mi auguro di non averti annoiato troppo. I libri, le canzoni o i film, sono difficili da scegliere, ma ti dirò quelli che mi sono rimasti più impressi, o quelli che sento di voler citare in questo preciso momento, perché riesco a rivedermi meglio in loro. Il libro in questione si chiama “Una parte del tutto” di Steve Toltz, un romanzo impregnato di bellezza. Come film scelgo “Eternal sunshine of the spotless mind”, non credo abbia bisogno di presentazioni. E come canzone scelgo “Non dovrei essere qui” di Mecna, che in questo preciso momento sto ascoltando visto che riesce a comunicare le stesse sensazioni che provo io, riportate però non nell’ambiente hip hop, ma in quello letterario in cui mi sento, per certi versi, “fuori posto”.

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