Aprii la porta, uscii in strada e mi allontanai di corsa. Camminando per la città pensai a lei. Tra le braccia di chissà chi. Non avevo capito un bel niente come al solito. Avevo una sua foto. E al collo il ciondolo con il nostro sole. L'unico ricordo che non volevo cancellare.
Decisi di andarmi a tagliare i capelli quel giorno. Mi rilassa, è una cosa che mi fa stare bene.
Era tardi, ma il mio barbiere era diverso. Un barbone. Non conoscevo molto di lui, sapevo solo che aveva avuto un salone tanti anni prima, quando era giovane e che parlava sempre di una certa Sofia. Forse era matto come un tacchino, ma era una persona rara in grado di mettersi sempre in secondo piano davanti agli altri, sempre pronto ad ascoltare, sempre con un caldo consiglio per tutti. Uno di quelli che metteva da parte se stesso per mostrarti quanto vali. Enzo era l'esatta definizione di ciò che io intendo per grandezza: quando ci si rimpicciolisce davanti agli altri per concedere a tutti una prospettiva da giganti.
Lo conobbi una sera, appena uscito da un altro barbiere che mi aveva fatto un taglio orribile per la modica cifra di venti euro. Ero incazzatissimo per quello che ne era venuto fuori e lui era lì seduto sul marciapiedi che mi osservava imprecare al cielo.
Si offrì di aggiustarmi i capelli per una bottiglia di vino. Ebbi paura di quello sconosciuto, ma riconobbi in lui lo sguardo di un randagio, e quando negli occhi di un uomo ritrovi la purezza di un cane, sai di trovarti di fronte a un essere meraviglioso.
Marco Gregò: Nella terra del sole che sboccia.
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